“Il Cenacolo di Leonardo, un cold case da risolvere: Pietro è tra i sospettati”
La notte più lunga dell’umanità inizia come un giallo. Il Maestro sta cenando in una casa sul monte Sion, appena fuori dalle mura di Gerusalemme. Il Vangelo di Giovanni ci racconta che a quel tavolo ci sono anche i dodici discepoli, che pasteggiano con lui a pane e vino. L’atmosfera è attraversata da una tensione inspiegabile. In un momento in cui il brusio cala, il Maestro prende la parola. Una frase sola, che rimbomba come un tuono. «Uno di voi mi tradirà». Cala il silenzio. Soltanto il prediletto ha il coraggio di parlare. «Chi è?», chiede sbigottito. Già, chi? L’attimo si congela, tutto si ferma.
È quello l’istante che nel 1495 Leonardo da Vinci sceglie di rappresentare nel suo capolavoro, l’Ultima Cena, l’opera più grande della sua carriera. Un dipinto di quasi nove metri per cinque, realizzato nell’arco di tre anni sulla parete del refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie, a Milano. Più di cinquecento anni dopo tutto è rimasto come allora, un fotogramma sospeso nel tempo. Gesù ha ancora il capo reclinato, gli occhi socchiusi, la bocca lievemente aperta. E intorno a lui i discepoli con i corpi curvi, quasi contorti, come per l’effetto di un’esplosione.
«Il Cenacolo è un’opera molto meditata. Nonostante sembri un dipinto religioso tradizionale, per Leonardo rappresentava ben altro. Si tratta di un vero e proprio manifesto politico». A parlare è lo scrittore Javier Sierra, spagnolo di Teruel, giornalista e divulgatore. Autore di gialli storici spesso a sfondo esoterico, Sierra è considerato il Dan Brown spagnolo, nonché uno dei pochi autori non di lingua inglese in grado di scalare le classifiche di vendita americane. Al Cenacolo di Leonardo, Sierra ha dedicato nel 2004 il romanzo «La cena segreta», appena riproposto in Italia da DeA Planeta. Oggi alle 17 lo scrittore sarà a Torino, al Circolo dei Lettori (in via Bogino 9), per una lectio magistralis che rientra negli eventi di avvicinamento al prossimo Salone del Libro e nelle celebrazioni per il cinquecentenario della morte del genio fiorentino.
Nel suo romanzo, Sierra immagina che un religioso domenicano venga inviato a Milano dall’Inquisizione per indagare sulla lavorazione del dipinto, che assume giorno dopo giorno connotati sempre meno ortodossi. «Frate Agostino Leyre è un personaggio di fantasia inserito in un contesto reale», racconta l’autore. «Leonardo è probabilmente il personaggio storico dell’età antica di cui abbiamo più informazioni. Nonostante i numerosi scritti, però, la sua vita presenta ancora molte lacune. Ho provato a colmarle con l’immaginazione e la finzione narrativa».
In effetti nel Cenacolo sono molti gli elementi che non quadrano. In tavola non compare il calice del vino. Gli apostoli non vengono rappresentati con la tradizionale aureola. Giovanni ha addirittura il viso di una fanciulla. «Non solo», fa notare Sierra. «Il penultimo discepolo sulla destra ha le sembianze del pittore stesso e sta voltando le spalle a Gesù. Leonardo non è mai stato quello che definiremmo un buon cristiano. Il suo biografo, il contemporaneo Giorgio Vasari, scrisse di lui che “non si accostava a qualsivoglia religione, stimando per avventura assai più lo esser filosofo che cristiano”. Non è un caso che il suo interlocutore nel dipinto abbia le sembianze di Platone. Leonardo era più interessato alla libertà che alla fede».
La teoria del romanzo è che l’artista avesse subito l’influenza degli eretici catari, di cui nel XV secolo una delle ultimissime comunità sopravviveva a Concorezzo, alle porte di Milano. «I catari avevano un sistema di valori molto particolare. Rifuggivano dalle relazioni sessuali perché ritenevano diabolica la materia corporea e anche Leonardo ci risulta essere stato un uomo casto. Era vegetariano come lo erano i catari, e infatti sulla tavola dell’Ultima Cena è raffigurato non il tradizionale agnello pasquale ma un pesce. I catari vietavano la raffigurazione di Gesù in croce e in effetti Leonardo non dipinse mai una crocifissione, circostanza curiosa per un artista del Rinascimento. Sono tante le connessioni che lasciano pensare che da Vinci fosse un uomo più aperto all’eresia che alla dottrina cattolica».
Il finale del giallo dell’ultima cena di Gesù è noto a tutti: fu Giuda Iscariota a tradire Gesù. «No, fu Pietro», sorride Sierra. «O quantomeno questo è quanto accade nel Cenacolo leonardesco. Pietro è l’unico personaggio con un’espressione minacciosa. Intimidisce Giovanni piazzandogli una mano sul collo mentre nell’altra cela un coltello. È l’unico personaggio armato del dipinto. Solo che accusare Pietro di aver venduto Gesù significava accusare il Papa. Per questo Leonardo nascose questa sua posizione dietro a una fitta rete di simbologie, di cui oggi si è persa la chiave di lettura».
Autore: Fabrizio Accatino
Fonte: www.lastampa.it, 14 marzo 2019